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Le tachicardie atriali costituiscono un gruppo eterogeneo di aritmie atriali che differiscono tra loro per sede e meccanismo fisiopatologico e che rappresentano tuttavia una causa non comune di aritmie sopraventricolari.
Si stima infatti che ca. il 5% delle aritmie sopraventricolari in età adulta ed il 15% delle aritmie in età pediatrica siano riconducibili a questo gruppo di aritmie.
Per approfondimenti si prega di consultare la pagina relativa…Tachicardia atriale
Qualora le terapie farmacologiche non siano sufficienti a controllare le manifestazioni aritmiche è possibile ricorrere all’ablazione transcatetere il cui obiettivo è quello di eliminare mediante energia termica (radiofrequenza o crioablazione) quelle cellule che sono responsabili della genesi dell’aritmia. L’ablazione TCRF è sempre preceduta da uno studio elettrofisiologico che permette l’identificazione dei target e che sovente è integrata con i nuovi sistemi di mappaggio elettroanatomico.
Lo studio elettrofisiologico è il primo passo per l’ablazione. Consente infatti di precisare la sede ed il meccanismo fisiopatologico del fenomeno aritmico. L’elettrocardiogramma di superficie infatti non è sufficiente in buona parte dei casi a precisare questi aspetti.
In genere si ottengono 3 o 4 accessi venosi femorali (dall’inguine) ed uno succlavio (dal cavo acellare). Tramite questi accessi si posizionano degli elettrocateteri quadripolari nell’atrio destro a livello del nodo del seno, quindi al del fascio di His e del ventricolo destro. Un’ulteriore elettrocatetere diagnostico viene posizionato nel seno coronarico, una vena che decorre nel solco atrio ventricolare di sinistra e che pertanto ci mostra i segnali elettrici che vengono dalla parte sinistra del cuore.
A questo punto è possibile iniziare delle manovre di stimolazione attraverso le quali si innesca l’aritmia. Talora è necessario, specie nelle forme automatiche, ricorrere all’ausilio di farmaci quali l’isoproterenolo, in grado di mimare una stimolazione adrenergica (simile a quella che si ha quando si fa attività fisica).
Andando a studiare la sequenza di attivazione del segnale atriale e mappando il maggior anticipo del segnale atriale con il catetere ablatore è possibile identificare la sede di origine e pertanto procedere all’ablazione che altro non è che una bruciatura di quelle cellule che sono coinvolte nella genesi dell’aritmia.
Lo studio elettrofisiologico è inoltre essenziale per porre una diagnosi differenziale con altre aritmie che possono “assomigliare” alla tachicardia atriale.
I sistemi di mappaggio tridimensionale non fluroscopico rappresentano un avanzamento tecnologico considerevole nei laboratori di elettrofisiologia. Sono dei software che consentono di “ricostruire le camere cardiache” aggiungendo all’anatomia il substrato elettrico di ogni regione cardiaca. I sistemi di mappaggi tridimensionale danno informazioni sul voltaggio del tessuto consentendoci di ottenere una misura indiretta della qualità del tessuto stesso (un tessuto elettricamente inerte o privo di segnali elettrici misurabili è un tessuto “morto”, ovvero una cicatrice, detta “scar”), e di ottenere informazioni sulla propagazione del segnale del segnale elettrico in real-time (mappa di attivazione) e sulla presenza di segnali elettrici anomali come i potenziali frammentati.
I sistemi di mappaggio quindi sono u ’aiuto prezioso per l’identificazione della sede e del meccanismo fisiopatologico della tachicardia atriale.
Di primaria importanza inoltre è la possibilità di ridurre al minimo l’esposizione alle radiazioni ionizzanti della scopia rendendo la procedura più sicura anche da questo punto di vista sia per il paziente che per l’operatore.
I rischi correlati all’ablazione della tachicardia atriale sono minimi ed in genere correlati agli accessi venosi. A tal proposito infatti in sede di puntura femorale si potrebbe creare un danneggiamento vascolare che potrebbe residuare nella formazione di un ematoma, di una fistola arterovenosa o di uno pseudoaneurisma. Nella maggior parte dei casi tali complicanze richiedono solo di un atteggiamento conservativo o di medicazioni compressive. Altre volte è necessario ricorrere a procedure più invasive come l’embolizzazione percutanea o ad approccio chirurgico per l’esclusione della fistola o dello pseudoaneurisma.
L’accesso succlavio in meno dell’1% dei casi è complicato dalla formazione di uno pneumotorace (presenza di aria all’interno del cavo pleurico) o ancor più raramente da un emotorace (presenza di sangue nel cavo pleurico). Tali evenienze possono richiedere il posizionamento di un drenaggio che consenta all’aria o al sangue di fuoriuscire.
Tra i rischi della procedura, anche se presente in letteratura è la perforazione cardiaca con conseguente tamponamento cardiaco è molto rara aneddotica e aneddotica, possibile in particolare per ablazioni complesse. Anche tali complicanze anche se gravi, possono essere gestite in sicurezza in sala operatoria e raramente richiedono un approccio chirurgico.