Cardiomiopatia Dilatativa Familiare

Che cos’è la Cardiomiopatia Dilatativa Familiare (DCM)?

La cardiomiopatia dilatativa familiare (DCM) è una malattia del muscolo cardiaco, caratterizzata dalla dilatazione ventricolare e dalla riduzione della funzione sistolica. I pazienti presentano insufficienza cardiaca, aritmie e aumento del rischio di morte cardiaca improvvisa (SCD). La prevalenza della DCM è 1/2.500, con un’incidenza di 7/100.000 casi l’anno (anche se probabilmente tale incidenza è sottostimata). In molti casi, la malattia è ereditaria e viene, perciò, definita DCM familiare (FDCM). La FDCM corrisponde al circa 20-48% dei casi di DCM (a seconda delle diverse casistiche), solitamente con trasmissione autosomica dominante. La DCM è causata da mutazioni nei geni che codificano per le proteine del citoscheletro e del sarcomero delle cellule muscolari cardiache. Uno dei geni più importanti è LMNA, responsabile anche di altre forme aritmogene (Bengala et al, 2019).

Qual è la presentazione clinica della Cardiomiopatia Dilatativa (DCM)?

La DCM è una patologia progressiva e solitamente irreversibile del muscolo miocardico, che conduce a disfunzione sistolica e dilatativa del ventricolo sinistro. Clinicamente si può manifestare con scompenso cardiaco, aritmie sopraventricolari e ventricolari, tromboembolismo e morte improvvisa. La diagnosi di DCM richiede l’esclusione di una causa secondaria, in particolare della causa ischemica. Il tasso di mortalità della malattia è elevato (12-20%), anche nella popolazione che riceve un trattamento medico ottimale, dovuto principalmente a scompenso cardiaco ed aritmie ventricolari che danno SCD. I sintomi della DCM sono quelli dello scompenso cardiaco (debolezza, facile faticabilità, respiro affannoso in occasione di sforzi talora anche modesti, tosse secca persistente, gonfiore addominale e degli arti inferiori, aumento improvviso di peso causato dalla ritenzione idrica, perdita di appetito) e delle aritmie cardiache (palpitazioni, capogiri o svenimenti).

Quali sono i test diagnostici per la Cardiomiopatia Dilatativa (DCM)?

In presenza dei sintomi sospetti per DCM sono consigliati i seguenti esami:

Test ematochimici: Un marker di rischio è il dosaggio del BNP (brain natriuretic peptide), che è elevato in presenza di scompenso cardiaco; possono essere presenti anche alterazioni degli indici di funzione epatica e renale, espressione della sofferenza di questi organi dovuta all’insufficienza cardiaca; nei casi più gravi sono presenti iposodiemia, ipokaliemia e anemia.

Radiografia del torace (RX torace): fornisce informazioni sule dimensioni del cuore e sulla presenza e il grado della congestione polmonare.

ECG basale e ECG dinamico secondo Holter: I marker elettrocardiografici di rischio aritmico possono essere la presenza di QRS frammentato e la presenza di micro-alternanza dell’onda T, anche se tali parametri non sono stati ancora valutati in maniera prospettica. Altri marker ECG sono il riconoscimento di aritmie sopraventricolari o ventricolari, in particolare tachicardie ventricolari non sostenute durante registrazione Holter, in particolare Holter prolungato.

Tachicardia ventricolare monomorfa (13 sec) in paziente con DCM (FEVS 25%)
Tachicardia ventricolare monomorfa (13 sec) in paziente con DCM (FEVS 25%)

Ecocardiogramma: È l’esame fondamentale per la diagnosi e il follow-up della DCM, in quanto permette di valutare le dimensioni e lo spessore delle pareti delle camere cardiache, la funzione contrattile (misurata con un parametro chiamato “frazione di eiezione del ventricolo sinistro (FEVS) e il funzionamento delle valvole, e di stimare la pressione polmonare. La presenza di una FEVS<35% è consideratoun indice prognosnegativo, associato ad un elevato rischio di SCD.

Test da sforzo con consumo di ossigeno: l’esame consiste nella registrazione di un elettrocardiogramma mentre il paziente compie un esercizio fisico, generalmente camminando su un tapis roulant o pedalando su una cyclette; si applica inoltre un boccaglio per la misurazione dei gas espirati. Il test permette valutare la resistenza all’esercizio del soggetto, la presenza di desaturazione durante esercizio, la comparsa di segni di ischemia e di aritmie sotto sforzo.

Anngio TAC coronarica e Coronarografia: tali esami servono ad escludere la presenza di una malattia coronarica significativa o la presenza di anomalie congenite delle coronarie.

Risonanza nucleare magnetica cardiaca (cRNM) con mezzo di contrasto: L’esame consente una miglior valutazione del ventricolo destro rispetto all’Ecocardiogramma, e inoltre valuta la struttura del miocardio, permettendo così di identificare la presenza di processi infiammatori e di aree di fibrosi (cicatrici) intramiocardiche. La fibrosi miocardica è una caratteristica significativa della cardiomiopatia dilatativa, e fornisce il substrato per le aritmie ventricolari, in quanto predispone alla formazione di circuiti di rientro. La fibrosi è generalmente localizzata nella parete miocardiaca (mid-wall fibrosis).

Cateterismo cardiaco: è una metodica invasiva che si basa sull’introduzione di catetere attraverso un vaso venoso fino alle cavità destre del cuore, che consente di acquisire informazioni importanti sul flusso e sull’ossigenazione del sangue e sulla pressione all’interno delle camere cardiache destre e sulle pressioni polmonari. Si tratta di un esame riservato alle forme più gravi nelle quali è necessario verificare il grado di aumento delle pressioni di riempimento ventricolari e della riduzione della portata cardiaca (ossia della quantità di sangue pompata dal cuore) e della ipertensione polmonare.

Biopsia endomiocardica: si effettua durante l’esecuzione del cateterismo cardiaco mediante l’utilizzo di uno strumento chiamato biotomo. In genere le biopsie vengono effettuate sul lato destro del setto interventricolare. È indicata nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa di recente riscontro e scompenso cardiaco “fulminante” per individuare la presenza di miocardite e, nel caso, identificare il tipo di cellule che sostengono il processo infiammatorio, perché ciò ha un importante valore prognostico.

Quali sono i trattamenti per la Cardiomiopatia Dilatativa (DCM)?

Il trattamento della DCM è essenzialmente la terapia per curare e prevenire l’insufficienza cardiaca e delle aritmie, per migliorare i sintomi e aumentare la sopravvivenza. Attualmente la terapia per l’insufficienza cardiaca prevede misure generiche (assunzione controllata di sale e liquidi, trattamento dell’ipertensione, limitazione dell’apporto di alcol, controllo del peso corporeo, moderato esercizio fisico), seguito dall’uso di farmaci e di dispositivi cardiaci:

Farmaci: ACE-inibitori, i sartani, i beta-bloccanti, gli anti-aldosteronici, diuretici, digossina.

Dispositivi cardiaci: pacemaker (PM), resincronizzatori (CRT), defribrillatori cardiaci intravenosi (ICD).

Nei casi refrattari ai trattamenti medici ed elettrici sono indicati l’impianto di dispositivi di assistenza ventricolare sinistra (LVAD) e il trapianto di cuore.

Quali sono le attuali raccomandazione per la prevenzione della morte improvvisa nella cardiomiopatia dilatativa?

Le attuali Linee Guida della Società Europea di Cardiologia (ESC 2015) raccomandano l’utilizzo di un defibrillatore impiantabile (ICD) in prevenzione primaria in pazienti con DCM in classe New York Heart Association (NYHA) II e III e con una frazione di eiezione del ventricolo sinistro (FEVS) inferiore o uguale a 35%. La FEVS è un importante predittore di aritmie ventricolare maligne nei pazienti con DCM. Il rischio assoluto di SCD aumenta con il peggiorare della FEVS, anche alcuni recenti trials (ad esempio lo studio DANISH) non hanno dimostrato una riduzione significativa della mortalità nei pazienti con impianto di ICD in prevenzione primaria, in confronto con la sola terapia medica ottimale (OMT). In ogni caso, le attuali linee guida consigliano l’impianto di ICD dopo almeno 3 mesi di terapia farmacologica ottimale con ACE inibitori, beta-bloccanti e diuretici, dal momento che in alcuni pazienti si può osservare un recupero più o meno parziale della FEVS dopo almeno 3 mesi dopo OMT.

Qual è il ruolo della genetica nella cardiomiopatia dilatativa?

La DCM è associata a mutazioni dei geni che codificano per le proteine del citoscheletro e del sarcomero delle cellule muscolari cardiache. Uno dei geni più importanti è LMNA, che codifica per la Lamina A e C. I pazienti in cui viene identifica la mutazione genetica sembrano essere a maggiore rischio di SCD con una mortalità del 40% a 5 anni. Pertanto nei pazienti portatori di una mutazione genetica del gene LMNA è raccomandato l’impianto più precoce di un ICD.

In caso di cardiomiopatie dilatative familiari è raccomandato la ricerca delle mutazioni genetiche associate allo sviluppo di cardiomiopatia dilatativa. Nel caso venga identificata una mutazione genetica associata allo sviluppo di cardiomiopatia dilatativa, è naturalmente raccomandato lo studio dei familiari, per identificare altri possibili soggetti affetti all’interno della famiglia: coloro in cui la ricerca della mutazione risulterà negativa potranno essere rassicurati che non svilupperanno la patologia, viceversa i portatori sani di una eventuale mutazione dovranno essere seguiti nel tempo (in particolare con ecocardiogramma e monitoraggio ECG), per identificare l’eventuale comparsa clinica della malattia.

Per consultare Orphanet

https://www.orpha.net/consor/cgi-bin/OC_Exp.php?Lng=IT&Expert=154

Per riferimenti bibliografici:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed?Db=pubmed&Cmd=Search&Term=cardiomyopathy,congestive%5Bmajr%5D+AND+familial

Se vuoi saperne di più > Cardiogenetica




“Trattiamo le aritmie cardiache dallo studio dei geni all’ablazione transcatetere“