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Cardiomiopatie aritmogene



Generalità sulle cardiomiopatie:

La Società Europea di Cardiologia (ESC) definisce le cardiomiopatie come “disturbi del muscolo cardiaco in cui si verificano anomalie morfologiche e funzionali in assenza di altre cause associabili”. In questa situazione il disturbo del muscolo cardiaco può essere causato da mutazioni genetiche le quali, con vari meccanismi, alterano la struttura e la funzione del miocardio.
In questo quadro possono inserirsi altre condizioni (congenite o acquisite) in grado di modificare il fenotipo di un paziente. In altre parole la moderna concezione europea di patogenesi delle cardiomiopatie non nega la possibile presenza di patologie concomitanti (a carico delle arterie coronarie, di altri vasi, di strutture valvolari) in un paziente affetto ma pone l’accento sulla correlazione fra specifiche mutazioni geniche e quadro clinico.
Pertanto diverse mutazioni geniche possono causare differenti quadri clinici tra cui è possibile individuare 3 fenotipi principali: cardiomiopatia ipertrofica, cardiomiopatia dilatativa e cardiomiopatia restrittiva. Il quadro della cardiomiopatia ipertrofica è caratterizzato da ispessimento del setto interventricolare, quello della dilatativa da progressiva dilatazione dei ventricoli mentre la cardiomiopatia restrittiva presenta una progressiva diminuzione del volume ventricolare sinistro.
Accanto a queste tre forme principali nel tempo sono state classificate altre cardiomiopatie tra cui è sempre più importante la non compattazione del miocardio ventricolare.
Essa è caratterizzata da un’anomalia congenita del miocardio in cui la struttura muscolare non è compatta, come di norma, ma presenta degli spazi vuoti (detti “trabecolature”).
È da segnalare che la classificazione della EAS differisce da quella statunitense la quale si concentra sulla causa genetica distinguendo forme “genetiche” da forme “acquisite”. Come abbiamo visto la classificazione europea pone invece l’accento sulla correlazione tra specifici fenotipi (dilatativa, ipertrofica, restrittiva o altro) e mutazioni geniche. Pertanto viene ammessa la possibile influenza di modificatori ambientali (infezioni, farmaci, stato gravidico, intossicazioni) e l’eventualità di fenocopie (quadri clinicamente indistinguibili dalle forme con mutazioni ma negative ai test genetici).
Tra le due posizioni la scuola del prof Carlo Pappone condivide quella europea poiché è ritenuta più rappresentativa del complesso panorama delle cardiomiopatie.
Con il progresso delle conoscenze si è inoltre osservato che le forme severe di cardiomiopatie ipertrofica hanno in genere un’evoluzione dilatativa e che i pazienti con avanzate dilatazioni ventricolari presentano spesso una marcata ipertrofia settale.
Sta inoltre emergendo la situazione in cui un paziente è portatore di mutazioni geniche potenzialmente causative di cardiomiopatie ma presenta soltanto un quadro aritmico, privo di qualsiasi alterazione strutturale. Nei nostri pazienti affetti dalla Sindrome di Brugada tale situazione è stata descritta ma non ancora pubblicata.
Tale caratteristica consente di spiegare, almeno in parte, il difetto di penetranza che caratterizza alcune forme di cardiomiopatia. In questi casi un paziente portatore di mutazioni patologiche può non presentare alcun segni clinici di cardiomiopatia e questi sinora non era stato spiegato in maniera convincente.
Un’ulteriore complessità è rappresentata dalla non rara presenza di una stessa mutazione genica in grado di causare differenti forme di cardiomiopatia. Un esempio sono le mutazioni in singola copia nel gene LDB3, associate sia alla cardiomiopatia ipertrofica che alla non compattazione miocardica.

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“Trattiamo le aritmie cardiache dallo studio dei geni all’ablazione transcatetere“