Ecocardiografia Trans-Transtoracica

Qual’è il ruolo dell’ecocardiografia nella diagnosi delle aritmie cardiache?

Le aritmie ventricolari sono la principale causa di morte cardiaca improvvisa nei paesi occidentali, responsabili di circa 1-2 casi ogni 1000 abitanti l’anno.  Sebbene il 50% delle morti cardiache improvvise dovute ad aritmia ventricolare complessa avvenga in cuori senza dimostrazione di cardiopatia strutturale, nel restante 50% dei casi è presente una condizione predisponente che può essere analizzata mediante le tecniche di imaging le quali sono utili a fornire importantissimi elementi sia diagnostici che prognostici.

Tra queste l’ecocardiografia rappresenta il primo test di screening in pazienti con nota o sospetta aritmia cardiaca, sia nel caso di aritmie sopraventricolari (fibrillazione atriale, tachicardie sopraventricolari) che di aritmie ventricolari (comprendente l’extrasistolia ventricolare ripetitiva e la tachicardia ventricolare), sia in pazienti sopravvissuti ad arresto cardiaco per fibrillazione ventricolare ed infine in pazienti con storia familiare di morte improvvisa.

L’ecocardiografia permette una valutazione accurata del miocardio e degli apparati valvolari, da un punto di vista morfologico e funzionale, ed in maniera indiretta della perfusione miocardica attraverso lo studio della riserva coronarica con stress test fisico o farmacologico. Tali obiettivi sono ottenuti senza la necessità di somministrazione di radiazioni ionizzanti ed a basso costo rispetto alla risonanza magnetica cardiaca (RMN), alla tomografia computerizzata (TC) ed alla coronarografia.

Qual’è il ruolo dell’ecocardiografia nella diagnosi e della stratificazione del rischio della morte improvvisa?

Le più recenti linee guida cardiologiche per lo per la prevenzione della morte improvvisa raccomandano pertanto l’esecuzione di un ecocardiogramma in tutti i pazienti con sospetta o nota aritmia ventricolare complessa (livello di evidenza IB).

Le principali patologie responsabili di morte cardiaca improvvisa ed indagabili mediante la metodica ecocardiografica comprendono la cardiopatia ischemica, acuta e cronica, lo scompenso cardiaco, acuto e cronico, le cardiopatie congenite e le cardiomiopatie aritmogene, tra le quali la cardiomiopatia dilatativa, la cardiomiopatia ipertrofica, la displasia aritmogena del ventricolo destro ed il miocardio non compatto, le malattie infiltrative del miocardico, di cui la più comune è rappresentata dall’amiloidosi, e la malattia di Chagas. A queste si aggiungono le valvulopatie aritmogene, come nel caso del prolasso valvolare mitralico e le cardiopatie infiammatorie (endocarditi, miocarditi e pericarditi). In tutte le suddette condizioni patologiche, l’esame ecocardiografico è in grado di fornire importanti informazioni utili sia alla diagnosi che, attraverso l’elaborazione di particolari indici prognostici, alla prevenzione della morte cardiaca improvvisa.

Ad esempio in pazienti con cardiopatia nota, indipendentemente dall’eziologia della stessa, la severa riduzione della frazione d’eiezione del ventricolo sinistro al di sotto del 35%, valutata ecocardiograficamente con metodica 2D o 3D, è stata associata ad un aumento significativo del rischio di morte improvvisa aritmica e le attuali line guida basano quasi interamente l’indicazione ad impianto di defibrillatore in prevenzione primaria su questo parametro.

Tuttavia, la capacità dell’ecocardiografia nel predire il rischio di aritmie ventricolari complesse, è relativamente limitata, dipendendo dall’azione di più fattori triggeranti e transienti che nel complesso concorrono ad attivare il substrato aritmogeno (ischemia, disordini idro-elettrolitici, effetto pro-aritmico di farmaci ecc).

La severa riduzione della frazione d’eiezione non rappresenta quindi un parametro sufficiente sensibile e specifico nel valutare il rischio di morte improvvisa. Esistono, infatti, diverse condizioni in cui anche a fronte di una conservata frazione d’eiezione ventricolare sinistra possono manifestarsi aritmie ventricolari maligne.

Al fine di predire in maniera più accurata tale rischio sono stati elaborati importanti indici dotati di valore prognostico, quali il Global Wall Motion Score Index (WMSI), validata come indice prognostico per un endpoint composito di scarica appropriate da parte dell’ICD e mortalità da tutte le cause.

Analogamente il Relative Wall Thickness (RWT), che riflette le caratteristiche geometriche del ventricolo sinistro, può essere utilizzato come marker di eventi avversi in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra, essendo stato associato a rischio di aritmie ventricolari complesse e morte aritmica in pazienti con cardiopatia ischemica/non ischemica, scompenso cardiaco, cardiopatia dilatativa idiopatica e blocco di branca sinistra.

Un altro indice particolarmente importante è rappresentato dal Global Longitudinal Strain (GLS). La quantificazione del GLS, espressione della funzionalità miocardica come risultato dell’accoppiamento elettro-meccanico, si è dimostrato in grado di predire il rischio di morte improvvisa, aritmie ventricolari complesse e shock da parte dell’ICD  in pazienti con scompenso cardiaco a ridotta frazione d’eiezione senza differenza tra genesi ischemica e non della cardiopatia.

Un punto di forza della metodica ecocardiografica è rappresentato inoltre dalla possibilità di associare all’esame lo stress farmacologico o fisico, permettendo così di valutare la riserva coronarica attraverso eventuali alterazioni della cinetica segmentaria ventricolare. In particolare l’ecocardiogramma da stress farmacologico risulta particolarmente utile nei casi in cui le aritmie ventricolari sono sospette per genesi ischemica ma esistono condizioni come l’utilizzo di digitale, l’ipertrofia ventricolare sinistra, il blocco di branca sinistra, la depressione del tratto ST-T >1 mm a riposo o la sindrome di Wolff- Parkinson-White che rendono non interpretabile il tracciato elettrocardiografico durante stress.

Un’ ulteriore conferma di come l’ecocardiografia giochi un ruolo fondamentale oltre che nella diagnosi anche nella valutazione prognostica di varie patologie cardiache, viene dallo studio delle cosiddette cardiomiopatie aritmogene.

La Cardiomiopatia Ipertrofica, ad esempio, è una causa significative di morte improvvisa in ogni fascia d’età ed in particolare nei giovani atleti. Le linee guida internazionali raccomandano l’utilizzo di un algoritmo per la definizione di uno score di rischio di morte improvvisa che include elementi valutabili ecocardiograficamente come lo spessore massimo della parete cardiaca, l’ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro, le dimensioni atriali ed il GLS). Quest’ultimo indice, in uno studio in pazienti sottoposti ad impianto di defibrillatore si è dimostrato in grado di predire una terapia di shock appropriata.

L’esame ecocardiografico mostra inoltre un ruolo cruciale anche nella diagnosi e nella prognosi della Displasia Aritmogena del Ventricolo Destro (ARVD). Parametri diagnostici come l’acinesia regionale, la discinesia, la dilatazione ventricolare destra, globale o ragionale, possono facilmente essere valutati mediante ecocardiografia 2D e 3D, ed in uno studio la combinazione di tali reperti ecocardiografici con parametri elettrocardiografici specifici, ha permesso di identificare i pazienti a rischio aritmico anche in fase iniziale di malattia (13).

Infine nel Miocardio Non Compatto, caratterizzato da una ipertrabecolatura endo-miocardica del ventricolo sinistro o biventricolare, con una componente epicardica assottigliata, le cui manifestazioni cliniche possono variare dalla completa asintomaticità a scompenso cardiaco, eventi tromboembolici ed aritmie ventricolari maligne/morte improvvisa, il rapporto tra porzione spongiosa e compatta, il diametro telediastolico ventricolare e la riduzione della frazione d’eiezione valutate ecocardiograficamente sono risultate in grado di predire il rischio di aritmie ventricolari e morte improvvisa guidando la scelta dell’impianto di defibrillatore analogamente a quanto avviene nella cardiomiopatia dilatativa.

Qual’è il ruolo dell’ecocardiografia nella selezione dei pazienti da sottoporre ad impianto di resincronizzatore (CRT)?
I numerosi indici ecocagrafici per la selezione di pazienti da sottoporre a impianto di resincronizzatore (CRT) proposti in letteratura sono basati sull’uso di tecniche convenzionali (M-mode, Doppler) e di tecniche avanzate (tissue Doppler imaging, strain, strain rate, tissue tracking). Una strategia è basata sulla ricerca e sulla quantificazione del ritardo della attivazione meccanica della parete laterale del ventricolo sinistro, dato come presupposto che in presenza di blocco di branca sinistra (BBS) la parete laterale del ventricolo sinistro si si attiva per ultima e per questo rappresenta il sito ideale di impianto del catetere sinistro. Altra strategia è quella di quantificare il grado di dissincronia contrattile globale del ventricolo sinistro,  dato che in presenza di BBS la propagazione dell’impulso elettrico è frammentata, specialmente in caso di cardiopatia ischemica dove la parete ad avere il maggior ritardo sembra essere quella antero-settale piuttosto che quella laterale.

Nonostante i dati incoraggianti provenienti da studi monocentrici e di piccole dimensioni, i risultati dello studio PROSPECT, di ampie dimensioni e multicentrico mostrano che l’ecocardiografia ha un valore aggiunto modesto se paragonata alla sola durata del QRS nella selezione dei pazienti da candidare alla CRT. L’ecocardiografia può però essere utilizzata anche nella ricerca della vitalità che è condizione necessaria affinché la stimolazione produca una resincronizzazione efficace. Lo strain e lo strain rate sono le uniche tecniche ecocardiografiche in grado di distinguere tra movimento attivo e passivo di una parete ventricolare. Comunque i dati in letteratura sul ruolo di queste tecniche nella CRT sono insufficienti e contraddittori tanto che la affidabilità e la utilità sono ancora da essere definite. Nei pazienti affetti da cardiopatia dilatativa post-ischemica, l’uso combinato del Tissue Doppler (valutazione della dissincronia) e della RMN (valutazione di eventuali cicatrici) potrebbe ridurre fino al 5% la percentuale dei pazienti “non responders”.

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“Trattiamo le aritmie cardiache dallo studio dei geni all’ablazione transcatetere“