Cardioversione elettrica (CVE)

Che cos’è la cardioversione elettrica esterna?

La cardioversione elettrica esterna (CVE) è una procedura in grado di interrompere aritmie cardiache, in particolare la fibrillazione atriale, eseguendo una sorta di “reset” del ritmo cardiaco.  Ogni battito cardiaco normale inizia in una zona del cuore conosciuta come “nodo del seno”, che si trova nell’atrio destro del cuore. Il nodo del seno contiene cellule specializzate che generano un segnale elettrico che viene poi trasmesso al miocardio attraverso il sistema di conduzione. Nei pazienti con fibrillazione atriale, si verifica un’attività elettrica caotica a livello degli atri, che quindi non perdono una contrazione efficace, e si genera un battito cardiaco accelerato ed irregolare.

La fibrillazione atriale viene spesso avvertita dai pazienti come palpitazione (senso di battito cardiaco veloce ed irregolare), mentre alcuni pazienti non hanno alcun sintomo, altri possono esperienza mancanza di respiro, sensazione di testa vuota ed affaticamento. In base alla specifica storia clinica e dei sintomi, può essere consigliata la CVE per ripristinare il normale battito cardiaco.

Quando si effettua la cardioversione elettrica?

La CVE può essere eseguita come procedura programmata o in fase di urgenza/emergenza (ad esempio in Pronto Soccorso).

In emergenza, La CVE viene eseguita per correggere aritmie che pregiudicano la performance cardiaca in genere associati a svenimento, bassa pressione sanguigna, dolore al petto, difficoltà di respirazione, o perdita di coscienza.

La maggior parte delle CVE vengono eseguite elettivamente (non in urgenza) per trattare la fibrillazione atriale, il flutter atriale ed altri disturbi del ritmo cardiaco. La CVE programmata è una procedura che solitamente richiede un regime di ricovero (generalmente  una notte).

Prima di effettuare la cardioversione elettrica il cardiologo informa il paziente sulla procedura e, successivamente alla firma del consenso informato, inizia la preparazione.

E’ da notare che nelle aritmie di durata superiore alle 48 ore si può verificare la formazione di trombi in alcune parti dell’atrio (in particolare nell’auricola); i trombi, alla ripresa della contrattilità atriale, si potrebbero frammentare e disseminare nel circolo arterioso causando ictus o embolie.

Per questo motivo se sono trascorse oltre 48 ore dall’inizio della sintomatologia è obbligatorio intraprendere una terapia anticoagulante (con eparine a basso peso molecolare o con anticoagulanti orali) al termine del quale è possibile effettuare la CVE in sicurezza, riducendo al minimo i rischi cardioembolici. L’utilizzo dei nuovi anticoagulanti orali anticoagulanti orali ad azione diretta (DOAC), inibitori diretti della trombina, rispetto al warfarin, caratterizzato da una  ritardata insorgenza d’azione, ha ridotto in modo drastico il tempo necessario per potere effettuare la CVE in sicurezza.

L’esecuzione della procedura, se l’origine dell’aritmia è superiore alle 72 ore o ignota, nel nostro Centro è sempre subordinata all’esito di un ecocardiogramma transesofageo, effettuato previa rapida sedazione, che serve a escludere l’eventuale presenza di trombi all’interno delle cavità cardiache (evenienza il cui rischio risulta essere aumentato in tutti i pazienti affetti da aritmie cardiache).

Si ricorda ai pazienti che per effettuare la CVE va osservato un digiuno di solidi e liquidi (bere solo il minimo indispensabile per assumere le medicine) dalle 24 del giorno precedente.

Come si effettua la cardioversione elettrica?

La procedura di CVE viene sempre eseguita in ambito ospedaliero nelle sale attrezzate di Elettrofisiologia, sotto il controllo di un’equipe composta da un cardiologo, un anestesista e un infermiere. Tutti i parametri vitali sono controllati prima, durante e dopo l’erogazione dello shock.

Al fine di evitare le percezioni dolorose dovute alla scarica elettrica, la CVE viene effettuata in  sedazione profonda ottenuta attraverso un bolo endovenoso di farmaci ipnoinduttori e anestetici. Il paziente non avverte quindi alcun fastidio, ma è autonomo nelle funzioni vitali, non è quindi una anestesia generale. Visto l’utilizzo specifico di farmaci ipnoinduttori e anestetici, nel nostro Centro è comunque prevista la presenza dell’anestesista.

L’esecuzione della CVE prevede l’erogazione (a mezzo di un defibrillatore) di una scarica elettrica sincronizzata bifasica, attraverso due placche metalliche posizionate sul torace del paziente, in posizione sottoclaveare destra – apicale sinistra oppure la antero – posteriore.

Una volta accertata la sedazione e verificati i parametri vitali quali PA e la saturazione di ossigeno (Spo2), il cardiologo, in base al peso del paziente seleziona la quantità di energia necessaria (1-2 Joule/Kg) e sincronizza l’erogazione dello shock con l’ECG sul picco R; l’erogazione della scarica deve essere sincronizzata, poiché se la scarica avvenisse sull’onda T potrebbe innescare un’aritmia ventricolare.

Il passaggio di corrente elettrica resetta i circuiti anomali permettendo il ripristino del ritmo sinusale (spesso preceduto da una breve pausa sinusale). Se il ripristino del ritmo sinusale non avviene alla prima scarica, si possono ripetere fino a 3 shock, aumentando progressivamente l’energia.

Solitamente il ripristino del normale ritmo cardiaco si ha nel 75-90% dei casi nella fibrillazione atriale di recente insorgenza e nel 90-100% in caso di flutter. A tal punto, si procede con il risveglio del paziente monitorando i parametri vitali. 

COSA AVVIENE DOPO LA CVE? 

Dopo la procedura il paziente rimane in osservazione circa 6-7 ore al termine delle quali potrà essere dimesso. A causa degli effetti residui dei farmaci utilizzati per la sedazione, ai pazienti viene vietata per 24 ore la guida di veicoli.

Molto spesso, per diminuire il rischio di recidive, il cardiologo prescrive una terapia anti-aritmica anche dopo il ripristino del ritmo sinusale. Le successive valutazioni cliniche e strategie terapeutiche vengono pianificate caso per caso.



“Trattiamo le aritmie cardiache dallo studio dei geni all’ablazione transcatetere“