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Per morte cardiaca improvvisa (Sudden Cardiac Death, SCD) si intende una morte inaspettata determinata da cause di origine cardiaca. La definizione di SCD, secondo Myerburg (1980) è una “Morte naturale, preceduta da improvvisa perdita della conoscenza, che si verifica entro 1 ora dall’inizio dei sintomi, in soggetti con o senza cardiopatia nota preesistente, ma in cui l’epoca e la modalità di morte sono imprevedibili”.
Normalmente, “morte cardiaca improvvisa” ed “arresto cardiaco” sono considerati come sinonimi, anche se da un punto di vista fisiopatologico, la morte cardiaca improvvisa è conseguenza dell’arresto cardiaco, ossia dalla cessazione della funzione di pompa del cuore, e quindi dalla interruzione della circolazione del sangue a tutto l’organismo.
L’arresto cardiaco è causato circa nel 70-80% dei casi da una tachiaritmia, ossia da una aritmia ventricolare rapida e disorganizzata, detta fibrillazione ventricolare. Nei rimanti casi l’arresto cardiaco può essere dovuto ad una bradiaritmia, ossia da un rallentamento della funzione cardiaca, fino alla asistolia (assenza della sistole cardiaca), oppure più raramente ad una dissociazione elettromeccanica, ovvero un’attività elettrica non più seguita dalla contrazione del cuore, per cui viene a mancare l’azione meccanica di pompaggio che permette la circolazione del sangue e il trasporto di ossigeno ad organi e tessuti.
All’arresto cardiaco segue rapidamente l’arresto circolatorio e la caduta della pressione sanguigna con conseguente perdita della coscienza, generalmente entro 10-15 secondi. Dopo qualche istante, la mancata perfusione dei centri respiratori porta ad arresto respiratorio e già dopo 4 minuti dall’arresto cardiaco, a causa del mancato apporto di sangue ossigenato, le cellule del cervello entrano in sofferenza, iniziano a morire e si verificano danni neuronali irreversibili.
La morte improvvisa può essere reversibile mediante tempestive ed adeguate manovre di rianimazione, ma porta inesorabilmente a morte se non adeguatamente e rapidamente trattata. Purtroppo, però, nonostante il soccorso tempestivo, non sempre la morte dell’individuo, o il danno cerebrale, possono essere evitati.
L’incidenza della morte improvvisa è di circa 1/1000 individui all’anno ed aumenta a circa 8/1000 soggetti all’anno aventi una storia di cardiopatie. La morte cardiaca improvvisa è responsabile di circa 50.000 decessi all’anno in Italia. La morte cardiaca improvvisa rappresenta oltre il 50% di tutti i decessi per malattie cardiovascolari. Circa l’80% delle morti cardiache improvvise è causato dalla cardiopatia ischemica, principalmente nelle classi di età più elevata. Viceversa nelle classi di età più giovani è maggiore la prevalenza di cardiomiopatie aritmiche, canalopatie o cardiopatie congenite non diagnosticate
La morte improvvisa si manifesta in prevalenza nel sesso maschile (circa 60%) in tutte le classi di età, in particolare è la principale causa di morte nei maschi di età compresa tra i 20 ed i 60 anni. La morte cardiaca improvvisa può colpire anche i bambini, in particolare entro i primi 6-12 mesi di età. In questi casi si parla più precisamente di sindrome della morte improvvisa infantile, in inglese Sudden Infant Death Syndrome (SIDS).
Il primo caso di morte improvvisa in corso di attività sportiva è quello di Filippide, che muore improvvisamente subito dopo aver annunciato agli Ateniesi la vittoria di Maratona.
La morte cardiaca improvvisa è un evento non infrequente negli sportivi, sia dilettanti e amatoriali che agonisti. L’incidenza della morte improvvisa tra gli atleti è simile a quella della popolazione generale, tuttavia fa particolarmente impressione perché si verifica solitamente in individui giovani (età inferiore ai 35 anni) e apparentemente sani che, anche in virtù del livello di attività fisica che svolgono, e dei controlli a cui sono sottoposti gli sportivi nel nostro Paese, sono ritenuti a basso rischio di problemi cardiaci. Le cardiomiopatie più frequentemente associate a morte improvvisa durante esercizio fisico sono la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, e la tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica (CVPT).
Le cause alla base dell’arresto cardiaco e della morte cardiaca improvvisa possono essere molteplici: la causa più frequente è la cardiopatia ischemica (determinata da un’ostruzione delle arterie coronarie), ma soprattutto nei giovani sono frequenti le cardiomiopatie aritmiche, le canalopatie o le cardiopatie congenite non diagnosticate.
Tra le cardiopatie non ischemiche, che dipendono da anomalie primitive del miocardio, generalmente congenite, che si associano prevalentemente alla morte cardiaca improvvisa, ricordiamo:
Spesso erroneamente l’arresto cardiaco e la morte cardiaca improvvisa sono identificati con l’infarto miocardico. In realtà però sono due problemi differenti, con cause, caratteristiche e terapie differenti. L’arresto cardiaco è dovuto nella maggior parte dei casi ad ad una aritmia ventricolare maligna, che provoca un’interruzione alterazione improvvisa del ritmo cardiaco, e quindi del flusso sanguineo a tutti gli organi, in particolare al cervello, e che parta a perdita di coscienza e se non trattato rapidamente ed efficacemente con defibrillazione elettrica porta a morte cardiaca improvvisa.
Viceversa, nell’infarto miocardico c’è un’interruzione del flusso di sangue esclusivamente a determinate zone del cuore (miocardio), a seguito della stenosi (restringimento) o all’occlusione di una o più arterie coronariche. Pertanto, un infarto miocardico solo raramente dà origine ad un arresto cardiaco. Viceversa, un arresto cardiaco è molto spesso, soprattutto in età avanzata, associato ad un’aritmia originata nel contesto di un infarto miocardico.
Nella maggioranza dei casi, la morte cardiaca improvvisa sopraggiunge, come dice il suo stesso nome, in maniera improvvisa e inattesa e il soggetto perde coscienza e cade a terra apparentemente già privo di vita.
In alcuni casi, prima di arrivare alla perdita di coscienza, i pazienti possono manifestare “segni premonitori” in grado di indicare l’imminente arresto cardiaco, quali:
Purtroppo, però, non sempre questi segni si manifestano, rendendo difficile se non impossibile riconoscere l’imminente arrivo della morte cardiaca improvvisa che si palesa solamente con il sopraggiungere della perdita di coscienza (detta sincope).
Nel caso di arresto cardiaco, quando il flusso sanguigno e la respirazione si fermano, anche i secondi sono fondamentali nella prevenzione di un danno cerebrale permanente o addirittura fatale. La rianimazione cardiopolmonare è la procedura di emergenza che può mantenere la circolazione e la respirazione fino all’arrivo dei soccorsi, e fare quindi la differenza tra la vita e la morte per la persona in arresto cardiaco.
Pertanto, in caso si sia testimoni di un arresto cardiaco, è sempre meglio tentare una rianimazione cardiopolmonare, anche se si teme che le proprie conoscenze siano insufficienti, piuttosto che non fare nulla, dato la differenza tra fare qualcosa e non fare niente potrebbe rappresentare la differenza tra la vita e la morte o un danno cerebrale permanente per la persona colpita. |
Se si è testimoni di un arresto cardiaco, per prima cosa è necessario chiamare immediatamente al numero d’emergenza 118 (112 in alcune Regioni). Quando chiamate, l’addetto probabilmente vi chiederà se siete in grado di praticare la rianimazione cardiopolmonare (RCP) con massaggio cardiaco; se non sapete come fare, verrete istruiti al telefono. I testimoni dell’arresto dovrebbero iniziare immediatamente il massaggio cardiaco e continuare fino all’arrivo dell’ambulanza.
Il massaggio cardiaco consiste in una compressione ritmica del torace, indispensabile a garantire la funzione meccanica (di pompa) del cuore, cessata in seguito all’arresto cardiaco, fino all’arrivo dei soccorsi o del defibrillatore.
Le mani del soccorritore vanno poste “al centro del torace”, sullo sterno, appoggiando il palmo di una mano sopra l’altra mano. Per garantire un massaggio cardiaco utile, è importante comprimere il torace fino ad abbassarlo di circa 5-6 centimetri (nella persona adulta) e permettere la sua completa riespansione dopo ogni compressione mantenendo una velocità adeguata (circa 100 – 120 compressioni/minuto). E’ fondamentale non interrompere MAI il massaggio cardiaco, tranne per il tempo necessario ad effettuare le ventilazioni o quando indicato dai comandi vocali del defibrillatore. |
La tecnica corretta per l’esecuzione del massaggio cardiaco viene appresa durante i corsi di Basic Life Support and Defibrillation (BLSD) che sono pertanto vivamente consigliati a tutta la popolazione. |
Appena possibile, deve essere tentata la defibrillazione cardiaca esterna
In caso di arresto cardiaco, è fondamentale la “defibrillazione precoce”, cioè l’erogazione di uno shock elettrico al miocardio che interrompa la tachicardia ventricolare o la fibrillazione ventricolare. Tale intervento deve essere effettuato entro pochi minuti dall’arresto cardiaco affinché risulti efficace poiché ritardando l’intervento diminuisce la possibilità di sopravvivenza a causa degli irreversibili danni celebrali, e non solo, successivi alla anossia tissutale.
La tecnica di somministrazione di tale shock viene definita “defibrillazione” e consiste nell’uso terapeutico di corrente elettrica che viene erogata in quantità elevate per un brevissimo periodo di tempo. Lo scopo della defibrillazione è quello di abolire temporaneamente ogni attività elettrica del cuore attraverso la completa depolarizzazione del miocardio, permettendo al pacemaker naturale del cuore di riprendere la sua normale attività ritmica.
L’erogazione di tale scarica elettrica avviene mediante l’impiego di defibrillatori cardiaci: alcuni modelli sono impiantabili all’interno del torace (defibrillatori interni) mentre altri devono essere collegati esternamente sul torace della vittima (defibrillatori esterni).
I defibrillatori esterni si suddividono in:
Il defibrillatore automatico (DAE) richiede esclusivamente che l’operatore applichi le piastre al paziente e attivi lo strumento. Nel caso in cui sia presente un ritmo defibrillabile, lo strumento è in grado di erogare la scarica senza che il soccorritore debba effettuare altre operazioni. |
I DAE sono attualmente sempre più disponibili nei luoghi pubblici (aeroporti, stazioni ferroviarie, supermercati, scuole, ospedali, impianti sportivi, etc) e sono indicati da un cartello apposito.
L’aspetto più importante della prevenzione della morte improvvisa è l’individuare precocemente i soggetti a rischio. I fattori di rischio noti per morte improvvisa sono i seguenti:
Altri fattori che potrebbero contribuire ad aumentare il rischio d’insorgenza di morte cardiaca improvvisa sono:
Per quanto ancora imperfetta, la prevenzione della morte improvvisa in alcuni casi è possibile. L’aspetto più importante della prevenzione della morte improvvisa è l’individuare precocemente i soggetti a rischio.
I fattori di rischio più importanti sono la frazione di eiezione, la storia familiare di morte improvvisa, la storia personale di cardiopatie, di sincopi e aritmie cardiache e la presenza di specifiche anomalie elettrocardiografiche (intervallo QT lungo, pattern di Brugada, ripolarizzazione precoce)
Se il paziente viene ritenuto a rischio di morte improvvise sono disponibili test non invasivi (Monitoraggio dinamico Holter, test da sforzo; risonanza magnetica cardiaca, etc), test cardiogenetici e test invasivi provocativi (test farmacologici ed studio elettrofisiologico) per stratificare (ovvero precisare) il livello del rischio di morte improvvisa.
Se il rischio viene ritenuto elevato, si può intervenire impiantando in prevenzione primaria (cioè prima che si sia verificato un arresto cardiaco) un defibrillatore cardiaco impiantabile (ICD) che in caso di necessità, interviene con shock elettrici in grado di ripristinare la normale funzionalità del cuore.
In caso di pazienti sopravvissuti ad un arresto cardiaco, si interviene impiantando un defibrillatore cardiaco impiantabile (ICD) in prevenzione secondaria (cioè dopo che si è già verificato un arresto cardiaco).
In alcune situazioni, in cui ci sia una storia di aritmie ventricolari recidivanti, o nel caso della sindrome di Brugada, è possibile intervenire con l’ablazione transcatetere con radiofrequenza del substrato aritmico, riducendo in modo significativo la probabilità di insorgenza di aritmie ventricolari fatali.