Indice dell'articolo
La fibrillazione atriale (FA) è un’aritmia molto frequente, in quanto interessa l’1-2% della popolazione, e le probabilità di sviluppare questa condizione aumentano con l’avanzare dell’età.
In condizioni normali, il cuore si contrae grazie a strutture cellulari specializzate che generano impulsi elettrici e ne regolano la distribuzione nel cuore stesso. L’impulso elettrico origina nel nodo seno atriale, sito nell’atrio destro, si propaga negli atri e raggiunge il nodo atrio-ventricolare, che è la sola via di comunicazione elettrica tra atri e ventricoli; da qui l’impulso passa al fascio di His e al sistema di conduzione intraventricolare.
Si parla di fibrillazione atriale quando l’attivazione elettrica degli atri deriva dalla circolazione continua e caotica dell’impulso lungo le pareti atriali: gli atri non si contraggono più in maniera coordinata, ma hanno una attività caotica, detta appunto “fibrillazione”.
La fibrillazione atriale è un’aritmia sopraventricolare, la cui diagnosi elettrocardiografica è basata sui seguenti due elementi:
Nella fibrillazione atriale l’attivazione degli atri è caotica e continuamente variabile, per cui le onde P scompaiono e vengono sostituite da piccole onde dette onde f. Le onde f sono del tutto irregolari, presentano continue variazioni di morfologia, di voltaggio e degli intervalli f-f, hanno frequenza molto elevata (400-600 batt/min) e durano per tutto il ciclo cardiaco (sono continue) determinando un aspetto frastagliato della linea isoelettrica (particolarmente visibile nelle derivazioni V1-V2.
Nella fibrillazione atriale un gran numero di impulsi atriali raggiunge la giunzione atrio-ventricolare (AV), ma solo una parte di questi raggiunge poi il ventricolo. Il nodo AV esercita una funzione di filtro: numerosi impulsi penetrano, infatti, solo parzialmente nel nodo e si bloccano all’interno di esso. Questa irregolarità della conduzione AV fa sì che gli intervalli R-R siano variabili. il numero di impulsi atriali che vengono condotti ai ventricoli si definisce come risposta ventricolare, che può essere elevata (o tachicardica, quando il numero di impulsi è alto maggiore di 100 impulsi al minuto) o bassa (bradicardica, quando il numero di impulsi è minore di 50 impulsi al minuto).
Il continuo variare dei cicli ventricolari costituisce l’elemento cardine nella diagnosi di fibrillazione atriale, tanto che quando l’aritmia si manifesta con intervalli R-R costanti è meno improbabile che si tratti di fibrillazione atriale, ma più probabilmente di una tachicardia sopraventricolare.
Esistono tre diversi tipi di fibrillazione atriale, essenzialmente definite in base alla durata:
La prevalenza della fibrillazione atriale nella popolazione generale viene riportata essere, a seconda dei diversi studi, circa 1%. La prevalenza appare relativamente bassa nei soggetti giovani ed aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età. Nello studio nordamericano ATRIA la prevalenza nella popolazione generale è del 0.9%, ma è dello 0.1% nei soggetti di età <55 anni e del 9% nei soggetti di età >80 anni. Nello studio di Framingham, la prevalenza è dello 0.5% nella fascia di età 50-59 anni, 1.8% nella fascia 60-69 anni, 4.8% nella fascia 70-79 anni e 8.8% nella fascia 80-89 anni. Circa 70% dei pazienti affetti da fibrillazione atriale ha più di 65 anni con un’età mediana di 75 anni. La prevalenza appare lievemente maggiore negli uomini rispetto alle donne in tutte le fasce d’età (1.1% verso 0.8%, nello studio ATRIA).
Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, attualmente in Italia la fibrillazione atriale è l’aritmia sostenuta più frequente nella pratica clinica con una prevalenza nella popolazione generale dello 0,5-1%. È possibile stimare che il numero dei pazienti affetti da fibrillazione atriale in Italia siano circa 610.000 persone (10% della popolazione totale). La prevalenza e cresciuta progressivamente nel tempo ed e destinata ad aumentare ulteriormente nei prossimi anni, dato il rapido invecchiamento della popolazione ed il numero crescente di soggetti d’età superiore ai 65 anni.
Per quanto riguarda l’eziopatogenesi, la fibrillazione atriale può essere primitiva o secondaria.
La fibrillazione atriale primitiva o idiopatica o isolata (“lone”) é quella non associata a cardiopatia organica o ad altra situazione clinica, in qualche modo correlabile all’aritmia (broncopneumopatia, ipertiroidismo ecc). La prevalenza della fibrillazione atriale primitiva è variabile (intorno al 5%).
La fibrillazione atriale secondaria, al contrario, e quella in cui è identificabile una causa responsabile dell’aritmia o una condizione favorente. Tra i fattori che predispongono alla fibrillazione atriale, le condizioni principali sono le seguenti:
I sintomi della fibrillazione atriale sono estremamente variabili da paziente a paziente, e possono essere da molto marcati a quasi assenti.
I sintomi più frequenti, in ordine decrescente secondo nello studio ALFA, palpitazioni (54.1%), dispnea (44.4%), affaticabilità (14.3%), sincope (10.4%) e dolore toracico (10.1%). Le palpitazioni prevalgono nella forma parossistica (79%), mentre la dispnea in quella cronica ed in quella di recente insorgenza (46.8% e 58%, rispettivamente).
Oltre che sintomatica, la fibrillazione atriale può anche essere asintomatica o silente, rappresentando un reperto occasionale all’ECG standard o dell’ECG dinamico Holter in circa il 20% dei casi.
Molti pazienti, specie pazienti anziani, o pazienti con altre patologie ed in multiterapia, possono invece essere del tutto asintomatici, e in questo caso si parla di FA silente. In questi pazienti spesso il riscontro della FA avviene in maniera del tutto occasionale, oppure in concomitanza di ricovero per un episodio di scompenso cardiaco, causato appunto da una fibrillazione atriale rapida non riconosciuta. La fibrillazione atriale silente non è per questo meno pericolosa, ma è più difficile da diagnosticare, ed più insidiosa, perché anche se asintomatica nelle fasi iniziali, può portare complicazioni importanti, quali scompenso cardiaco, ictus criptogenico o secondo i più recenti studi anche a disturbi cognitivi (tipo demenze).
Le conseguenze emodinamiche e il rimodellamento indotti dalla fibrillazione atriale si traducono, in termini clinici, in una riduzione della qualità di vita per la comparsa di disturbi soggettivi importanti, in un aumento della mortalità cardiovascolare, in una maggiore incidenza di complicanze tromboemboliche e nella possibile comparsa di tachicardiomiopatia.
La qualità di vita è nettamente ridotta nei soggetti con fibrillazione atriale rispetto ai soggetti di controllo, con un punteggio più basso del 16% – 30% di tutti i parametri comunemente presi in esame (stato di salute generale, funzioni fisiche, vitalità, stato mentale, funzioni emotive, ruolo sociale, dolore fisico).
Se la frequenza cardiaca è particolarmente elevata e l’aritmia persiste per settimane o mesi è possibile che la forza di contrazione del cuore si riduca progressivamente e sopravvenga un quadro di insufficienza cardiaca (o scompenso cardiaco).
Inoltre, negli atri fibrillanti (e in particolare nelle loro appendici contrattili, denominate “auricole”) il sangue tende a ristagnare invece di essere espulso dalla normale contrazione. Si creano quindi le condizioni per la formazione di coaguli (trombi) che possono migrare in circolo come emboli.
Particolarmente pericolosi sono gli emboli rilasciati dall’atrio sinistro perché possono raggiungere il circolo cerebrale e provocare grossi danni, in particolare l’ictus tromboembolico.
La diagnosi di fibrillazione atriale in sé è molto semplice, dato che è sufficiente un tracciato elettrocardiografico, in particolare il tracciato ECG 12 derivazioni.
Il problema è rappresentato dalla difficoltà di cogliere l’aritmia quando è presente (per la breve durata o per la totale mancanza dei sintomi di riferimento). Anche nel follow-up l’ostacolo principale è rappresentato dalla difficoltà di rilevare con certezza gli episodi di fibrillazione atriale.
Per questo si utilizzano sistemi di registrazione elettrocardiografica prolungata detti ECG dinamico Holter (che possono durare da da 24 ore a più giorni, in genere fino a un massimo di 30 giorni).
Esistono poi piccoli sistemi di registrazione di lunga durata che vengono inseriti sottocute mediante una piccola incisione dell “loop recorder impiantabili” (o ILR). Tali sistemi possono avere una durata fino a tre anni e possono anche essere interrogati attraverso il monitoraggio remoto, ossia direttamente da casa del paziente, senza richiedere l’accesso del paziente alla struttura ospedaliera
Recentemente sono disponibili anche sistemi registrazione di brevi tracciati ECG (in genere circa 30 sec, monocanale) basati sulla tecnologia Smartphone, anche attraverso il sistema iWatch, che permettono al paziente di registrare autonomamente un breve tracciato ECG, sul quale il sistema effettua una prima analisi e propone una prima diagnosi del ritmo. Il tracciato può essere poi inviato via mail per la verifica da parte del Centro di analisi: tale servizio è denominato Cardiotelefono.
Oltre a identificare la fibrillazione atriale con l’elettrocardiogramma è necessario un inquadramento diagnostico completo per dimostrare o escludere patologie cardiache o endocrine che causino o facilitino la fibrillazione atriale e richiedano un trattamento.
Il trattamento di un paziente con fibrillazione atriale richiede innanzitutto una conoscenza degli aspetti di presentazione dell’aritmia (parossistica, persistente, cronica), primo evento o recidiva, sintomatica o asintomatica, e della situazione clinica di base. Solo successivamente possono essere prese decisioni riguardo all’opportunità o meno di un tentativo di ripristino del ritmo sinusale, le modalità per effettuare il ripristino del ritmo sinusale e per il suo successivo mantenimento.
La terapia della fibrillazione atriale si basa essenzialmente sul controllo di quattro aspetti:
Al primo riscontro di fibrillazione atriale, anche se asintomatica, è indicato il tentativo di ripristino del ritmo sinusale, compatibilmente con l’età del paziente e la presenza di copatologie. Se l’aritmia è di recente insorgenza e in assenza di cardiopatia la prima scelta terapeutica per il ripristino del ritmo sinusale è costituita dai farmaci antiaritmici. In caso di durata maggiore dell’aritmia, o di cardiopatia, o di instabilità emodinamica, la prima scelta terapeutica diventa invece la cardioversione elettrica.
Indipendentemente dalla tecnica usata per il ripristino del ritmo sinusale dovrà essere posta grande attenzione al rispetto dei protocolli per la prevenzione del rischio tromboembolico, valutando in particolare la durata dell’aritmia e la cardiopatia di base.
Dopo il ripristino del ritmo sinusale, in molti casi non è necessaria alcuna profilassi delle recidive (es. fibrillazione atriale da causa correggibile, o primo episodio di breve durata ed emodinamicamente ben tollerato). Se invece, in base al quadro clinico la profilassi viene considerata opportuna, il primo step terapeutico è generalmente costituito dai farmaci antiaritmici, assunti al bisogno o in cronico.
In caso di inefficacia o intolleranza ai farmaci o in caso di recidiva possono essere prese in considerazione le procedure di ablazione transcatetere in alternativa alla cronicizzazione della fibrillazione atriale.
In casi di FA parossistica o persistente e in caso di fibrillazione atriale permanente in pazienti selezionati, oggi le Linee Guida raccomandano di effettuare l’ablazione transcatetere con radiofrequenza (ATC-RF): questa metodica attualmente è efficace in circa il 70% dei casi. In alcuni casi può essere necessaria la ripetizione dell’ablazione per mantenere il ritmo sinusale.
Il tessuto atriale, una volta instauratasi la fibrillazione atriale va incontro ad un “rimodellamento elettrico” e “strutturale”, cioè a modificazioni delle caratteristiche elettrofisiologiche e strutturali del miocardio atriale verso la fibrosi. Queste modificazioni aumentano in funzione della durata della FA, diminuendo la probabilità di ripristinare il ritmo sinusale e di mantenerlo dopo la cardioversione e dopo l’ablazione. Tale concetto riassunto dalla frase ‘’AF begets AF’’, ossia «la fibrillazione atriale facilita la fibrillazione atriale». Pertanto oggi le Linee Guida raccomandano di effettuare le procedure di ablazione nella fase precoce della fibrillazione atriale, senza rimandare a una fase tardiva in cui il rimodellamento atriale è già avanzato.
Dopo l’ATC-RF può essere necessario proseguire la terapia antiaritmica e la terapia anticoagulante. Per guidare la gestione terapeutica dopo l’ablazione è utile il posizionamento di un Loop Recorder Impiantabile sottocutaneo, seguito in genere con monitoraggio remoto.
In alcuni casi, quando sia danneggiato il fascio di conduzione verso i ventricoli e quindi sia particolarmente bassa risposta ventricolare della fibrillazione atriale, potrà essere necessario ricorrere all’impianto di un pacemaker definitivo.
Analogamente, ma in senso opposto, quando non si riesce a controllare la frequenza di risposta ventricolare della fibrillazione atriale, che rimane molto alta nonostante i farmaci (beta-bloccanti e digitale), può essere necessario ricorrere alla ablazione del nodo atrio-ventricolare associato all’impianto di un pacemaker definitivo. In questo caso spesso si può scegliere un pacemaker resincronizzatore (CRT-P) per mantenere una contrazione fisiologica nei due ventricoli.