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Patologie della Coagulazione (deficit combinato dei fattori coagulativi)

Il deficit combinato ereditario dei fattori della coagulazione è una malattia congenita del sangue causata da una riduzione variabile dei livelli dei fattori della coagulazione II, VII, IX e X. Possono essere diminuiti anche i valori degli anticoagulanti naturali, come la proteina C, la proteina S e la proteina Z. La prevalenza non è nota ma si tratta di una malattia relativamente comune. I sintomi emorragici possono essere lievi o gravi, esordiscono nel periodo neonatale nei casi gravi, spesso mettono a rischio la vita del paziente, si manifestano spontaneamente, a livello della cute e delle mucose, oppure durante gli interventi chirurgici. Sono spesso presenti anche sintomi non ematologici, come le anomalie dello scheletro e dello sviluppo (ossa lunghe punteggiate, accorciamento delle falangi distali delle dita delle mani, osteoporosi e disturbi cutanei simili allo pseudo-xantoma elastico). In genere questa condizione è ereditata come una malattia autosomica recessiva: un paziente possiede due mutazioni nei geni causativi, ciascuna ereditata da un genitore, portatore sano. Nonostante questo, spesso sono indicati approfondimenti anche nei genitori di un paziente per la presenza di lievi anomalie nella coagulazione. Deve essere proposta la consulenza genetica alle famiglie affette, anche se in genere non sono raccomandati test genetici prenatali. La somministrazione di vitamina K durante il terzo trimestre di gravidanza può essere utile alle donne a rischio. La somministrazione di vitamina K è la terapia di elezione nel caso della forma sintomatica del deficit combinato. È utile la somministrazione di plasma e di concentrati del complesso protrombinico durante gli interventi chirurgici o gli episodi emorragici gravi. Un’opzione terapeutica alternativa in vista di interventi chirurgici e in presenza di sanguinamenti gravi è la combinazione tra FVII attivato ricombinante (eptacog alfa attivato) e vitamina K. La prognosi generale è buona soprattutto se la diagnosi è precoce ed in presenza di una terapia efficace.


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La sindrome di Marfan è una malattia sistemica del tessuto connettivo caratterizzata dall’associazione variabile di sintomi cardiovascolari, muscolo-scheletrici, oculari e polmonari. La prevalenza stimata è 1/5.000, senza differenza tra i sessi. I sintomi possono insorgere a tutte le età e variano notevolmente tra le persone affette, anche all’interno della stessa famiglia. Il coinvolgimento cardiovascolare è caratterizzato da: 1) progressiva dilatazione dell’aorta, associata a un aumento del rischio di dissezione aortica. La dilatazione aortica può esitare in un’insufficienza della valvola aortica; 2) insufficienza della valvola mitralica, che può essere complicata da aritmie, endocarditi o insufficienza cardiaca. Il coinvolgimento dello scheletro è spesso il primo segno della malattia e comprende una eccessiva lunghezza delle estremità, il sovrappeso, l’aracnodattilia, l’ipermobilità delle articolazioni, la scoliosi, la deformità del torace o della regione mascellare. I segni oculari comprendono il distaccamento della retina e la dislocazione del cristallino. Le complicazioni oculari possono esitare nella cecità. Possono essere presenti segni cutanei (smagliature) ed è aumentato il rischio di complicanze respiratorie. Nella maggior parte dei casi, la sindrome di Marfan è causata dalle mutazioni del gene FBN1 (15q21) che codifica per la fibrillina-1, una proteina essenziale del tessuto connettivo. Alcune forme cliniche di confine sono dovute alle mutazioni del gene TGFBR2, localizzato sul cromosoma 3, che codifica per un recettore del TGF-beta. La trasmissione è autosomica dominante: è sufficiente possedere mutata una singola copia del gene per manifestare la condizione. Recentemente è stato proposto un trattamento farmacologico (con ACE inibitori) che sembra dare ottimi risultati anche in termini di prevenzione delle complicanze.

La sindrome di Ehlers-Danlos (EDS) comprende un gruppo eterogeneo di malattie ereditarie del tessuto connettivo, caratterizzate da iperlassità articolare, cute iperelastica e fragilità tissutale. Il tipo classico (che comprende le EDS tipo 1 e 2) è caratterizzato dai seguenti criteri maggiori di diagnosi: iperestensibilità della cute, cicatrici cutanee atrofiche da fragilità del tessuto e iperlassità articolare. Altri sintomi minori sono le sublussazioni articolari, l’ipotonia muscolare e la positività della storia familiare. La prevalenza del tipo classico è stimata in un 1 soggetto ogni 30.000. Nella maggior parte dei casi, la trasmissione è autosomica dominante: è sufficiente possedere mutata una singola copia del gene per manifestare la condizione.




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“Trattiamo le aritmie cardiache dallo studio dei geni all’ablazione transcatetere“



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